“Chiusa una porta si apre un portone”, si dice, ma come è possibile chiudere una porta se in quella stanza sembra essere racchiusa tutta la nostra vita? Se lì c’è il nostro lavoro, che non vediamo l’ora di mollare, ma da quello dipende il nostro sostentamento? Se ci vive il nostro partner, ma abbiamo capito che la nostra storia è finita? Se quella stanza è tutta la nostra vita e desideriamo solo cambiarla?
La risposta più semplice è: “Volta pagina!”. Una soluzione tanto facile a dirsi, quanto difficile da attuarsi, vero?!
Due modi per “chiudere una porta”
Quando siamo legati da mille fili intrecciati a una persona o a una situazione e dentro di noi il desiderio di cambiare strada è nato e si rinfocola giorno dopo giorno, per poter concretizzare quel sogno abbiamo due possibilità:
- chiudere bruscamente la relazione, portandoci dietro rimpianti, frustrazioni, rancori e tutta la gamma di emozioni depotenzianti che potete immaginare!
- Chiudere amorevolmente, nutrendo fino in fondo ciò che c’è nel momento presente.
La prima soluzione credo sia nota a molti di noi: una porta sbattuta in faccia al nostro partner, una violenta discussione col capo in quell’ufficio che non sopportiamo più, il disprezzo riversato su una casa in cui non vogliamo più vivere e le mille altre situazioni che ciascuno di noi incontra nella vita…
A volte abbiamo bisogno di reazioni forti per spezzare le catene: nella rabbia, nell’odio, nel disprezzo troviamo la determinazione che ci consente di liberarci dai vincoli. Ma a quale prezzo? Perché, lo sappiamo, c’è sempre un prezzo da pagare! Lascio che ciascuno di voi si soffermi sulle conseguenze, che magari ha già pagato nella propria vita!
Si apre allora un’altra via, che ci evita di trascinarci dietro tutta quella gamma di emozioni frustranti e debilitanti e, al contrario, coltiva dentro e fuori di noi il sentimento della gratitudine e dell’amore. Che poi sappiamo che queste sono le leve che, in virtù della Legge di attrazione, innescano eventi piacevoli ed evolutivi nella nostra esistenza.
Ma a questo punto è lecito domandarsi: “Amare il partner che mi ha fatto così tanto male?”; “Amare il lavoro dove non è mai stato riconosciuto il mio valore?!”; “Amare un luogo verso cui ho nutrito così tanta insofferenza?!”. “Ma come è possibile?!”.
Come trasformare un’emozione
Se mi leggete, sapete che ogni emozione presenta anche un versante opposto, proprio come l’altra faccia di una medaglia. Eppure, ogni contrario fa parte dello stesso oggetto (la medaglia) e della stessa forma di energia (le emozioni opposte). È con questa consapevolezza che possiamo comprendere che la rabbia è l’opposto dell’imperturbabilità, la frustrazione è l’opposto dell’appagamento, l’odio è l’opposto dell’amore, e via duplicando…
Per estensione, anche ogni situazione può essere letta osservando l’una o l’altra faccia della medaglia: quale scegliere è sempre nostra discrezione.
Se ci sforziamo un attimo, forse riusciamo a cogliere nella nostra storia d’amore giunta alla frutta che, nel corso del tempo, prima del dolore c’erano state allegria, benessere, gioia… Quel lavoro ora tanto odiato un tempo fu la nostra salvezza, e ancora oggi ci consente di vivere. Quel luogo così vuoto di noi, è stato in qualche modo la nostra culla, offrendoci un tetto, ristoro e intimità. Possiamo sempre cogliere aspetti che spesso diamo per scontati, oppure che ci siamo dimenticati.
Le emozioni sono pura energia: quando decidiamo di illuminare di attenzione un lato della medaglia, l’altro si oscura di default, e viceversa. Possiamo trasformare un’emozione in ogni istante semplicemente concedendoci di osservare le cose da una prospettiva diversa, puntando il faro dell’attenzione sul lato opposto della medaglia. A volte è un cambio di prospettiva che costa sofferenza, ma se la volontà di voltare pagina è forte, si può fare!
Il punto ora è: “Perché dovrei amare qualcuno/qualcosa se il mio obiettivo è di non averci più a che fare?”.
Perché amare ciò che vogliamo lasciare andare?
Amare significa nutrire di attenzione amorevole, oltre il giudizio e quindi oltre i rancori e i “sospesi”. Adottando quest’ottica ci avviciniamo a comprendere il motivo per cui la seconda via per voltare pagina presuppone l’amore, che potremmo anche definire passione, dedizione, nutrimento…
Paradossalmente, l’attenzione oltre il giudizio è un atto di distacco: onoriamo ciò che vogliamo lasciare, rendendo a Cesare quel che è di Cesare, e ci dichiariamo pronti a passare oltre.
Strano, vero?! Eppure il gioco della vita funziona così: finché percepiamo verso una situazione un legame emotivo forte (e le emozioni negative sono un’energia molto potente), lo stiamo nutrendo e in qualche modo stiamo comunicando all’universo che ne necessitiamo. La Legge di attrazione, infatti, ci restituisce ciò che abbiamo bisogno di vivere. Quando riusciamo ad elaborare le emozioni ripulendole dalle incrostazioni, allora il messaggio per l’universo diventa: “Ecco, ho sciolto quel nodo, ora la mia attenzione è libera di creare altro”.
Ecco il punto:
l’attenzione è creatrice e se vogliamo creare qualcosa di nuovo abbiamo bisogno di liberarla dai gravami del passato.
Altrimenti sarebbe come pretendere di riempire di fiori un vaso già pieno! Si può fare solo se il vaso è ricolmo di acqua o terra, ma non se ci sono ciottoli, gramigna o rifiuti!
Mi seguite?
Così ho lasciato andare un incarico professionale che non sopportavo più
Era la fine del 2013, volevo liberarmi da un lavoro per me totalmente inutile, ma non potevo permettermi di farlo, perché mi assicurava un’entrata continuativa su cui potevo contare. Nel corso di un paio di anni, avevo attraversato fasi alterne: dopo l’amore iniziale per quella interessante opportunità, ne scoprii tutti i vizi e le pesantezze, fino a toccare l’insofferenza più pura! All’epoca seguivo un formatore che mi aveva ricordato che “Puoi lasciare un lavoro solo quando lo ami profondamente”.
Un po’ rassegnata, un po’ convinta di questo principio, mi misi a lavorare a testa bassa a quel progetto, prendendomene cura nei dettagli, mettendo da parte le emozioni frustranti che provavo nel portarlo avanti e aprendomi alla possibilità che ciò che facevo potesse essere d’aiuto a qualcuno. Questo atteggiamento divenne una (nuova) abitudine, le emozioni si erano trasformate e le aspettative disciolte (anche quelle che agognavano la conclusione della mia collaborazione) e in generale vivevo più rilassata.
Alla fine del 2012, nei miei rituali di fine anno, incisi la volontà di poter creare situazioni professionali allineata al mio sentire profondo e, nel corso del mese di gennaio, arrivò l’occasione per lasciare quel lavoro! Magia? No, è una semplice conoscenza applicata delle leggi universali che regolano la nostra esistenza!
Ora lascio la parola a voi, che sicuramente avrete intuito o addirittura vissuto ciò di cui vi ho parlato, e magari avrete anche voglia di condividerlo…