ferita del rifiuto“Ah, sì?” E’ così?! Dunque non mi vuoi?… Bene, vedrai la mia vendetta…”. Oppure: “Nessuno vuole essere io amico? Allora sto meglio da sola…”. Quando subiamo un rifiuto, c’è chi reagisce con la vendetta e chi con la fuga, ma in ogni caso abbiamo l’opportunità di guarire una ferita.

Il rifiuto è una fra le ferite più diffuse, insieme all’abbandono, l’ingiustizia, l’umiliazione e il tradimento (fonte: Lise Bourbeau, “”) e con tutte ha un tratto in comune: può essere guarito!

Orgoglio, fuga e le altre pericolose strategie di difesa

“Non ne vogliono sapere di me…”; “Non te ne importa nulla di me!”; “Ho visto che non sei interessato a me…”“Non mi stanno a sentire!”; “So che non mi vuoi…”. La creatività con cui riusciamo ad addossare agli altri la responsabilità delle nostre emozioni è tanto affascinante quanto masochistica! So di essere dura e senza peli sulla lingua, anzi, sulla tastiera 😉 in questo momento, ma guardiamo insieme ai fatti per accorgerci che molto spesso veniamo rifiutati perché siamo noi a comportarci in maniera tale da attrarre il rifiuto.

Al primo impatto con la ferita del rifiuto, ad esempio, potrebbe ergersi, maestoso e arrogante, quell’orgoglio che ti fa venire voglia di mandare a quel paese chi ti ha rifiutato. E’ una modalità spesso automatica, che impedisce di vedere la situazione con occhio neutro e ricettivo, esasperando le “colpe” altrui ed enfatizzando i propri meriti. Alla lunga questa attitudine crea ulteriori situazioni in cui si verrà rifiutati, perché le persone pronte a mandarti a quel paese si annusano ancor prima che si manifestino… E non è facile averci a che fare: basta un piccolo fraintendimento, una giornata storta o un momento di difficoltà per far scattare le difese di chi si sente rifiutato, con il dito sempre pronto ad accusare il presunto responsabile della ferita.

Ma esistono anche altri modi di reagire quando ci si sente rifiutati; ad esempio potrebbe manifestarsi una profonda chiusura in se stessi, per la serie: “Mi ritiro dal mondo, così non potrò più essere ferito!”. E’ una visione irrealistica e compromettente, eppure così diffusa… quante persone timide, chiuse in un mondo di fantasia, introverse hanno scelto di curare così le proprie ferite da rifiuto?

Anche queste persone riescono ad innescare un circolo vizioso (come spesso accade quando è la mente ad elaborare una strategia di difesa, senza intervenire sulla radice del problema), che finisce per stimolare il rifiuto negli altri. Grazie a un’infanzia e a un’adolescenza timida, ne so parecchio in materia… 😉 Solo crescendo ho scoperto di avere certi atteggiamenti inconsci, certi modi di dire e relazionarmi, certi pensieri bui che… nemmeno io avrei voluto avvicinarmi a una come me! Potete rilevare anche voi qualcosa di simile nella vostra vita?

Qualunque sia la nostra reazione,  l’unica via che ci protegge realmente da eventuali rifiuti da parte del mondo e che ci evita di creare situazioni in cui venire rifiutati è fare luce sulle nostre dinamiche interiori. Può comportare un percorso di presa di coscienza doloroso e faticoso,  ma necessario per evitare che la ferita aperta agisca dietro le quinte, manovrando le nostre esistenze.

Cosa posso imparare dalla ferita del rifiuto?

Un modo funzionale di reagire quando ci sentiamo rifiutati è chiedersi:

Come posso migliorare?”

Rispondendoci, troveremo indizi preziosi per raddrizzare la rotta vero un’esistenza libera dalla ferita del rifiuto.

Facciamo un esempio: se propongo un progetto di collaborazione a un’azienda, ma non viene approvato, anche se dal mio punto di vista era il mio miglior progetto, posso sempre e comunque chiedermi come migliorarlo o come presentarlo in maniera più convincente, o a chi indirizzarlo la prossima volta per essere più efficace. Oltre a desumere risposte importanti, che mi consentiranno di correggere il tiro alla mia prossima esperienza, trattando così il rifiuto mi riprendo il potere di agire, intervenire e decidere sulla mia vita. Sto tracciando nel mio inconscio una convinzione implicita:

Io ho il potere di cambiare le cose”

Se avessi attribuito la responsabilità dell’esito all’azienda, avrei automaticamente delegato questo potere, privandomene; capite l’importanza di assumersi le proprie responsabilità?! Ogni volta che lo facciamo, rafforziamo la convinzione, e quindi la capacità, di poter agire trasformando la nostra esperienza della realtà.

Due passi verso la guarigione

Quando siamo alle prese con la ferita del rifiuto, c’è anche un altro aspetto che merita di essere visto da vicino ed è l’emozione che si solleva e che chiede di essere ascoltata. Non sempre è facile sentire e riconoscere le proprie emozioni, soprattutto quando scaturiscono da una ferita, ma sono proprio loro il nostro carburante e se le cacciamo sotto il tappeto, come la polvere che non abbiamo voglia di pulire, ci priveremo della nostra fonte di energia vitale!

Ecco un veloce percorso in due step che possiamo seguire quando ci sentiamo rifiutati.

1) Il primo passo consiste nel porsi queste tre semplici domande:

“Che cosa mi sta dicendo questa emozione?”
“Qual è la prima immagine o ricordo che mi viene in mente?”
“Di che cosa ho bisogno per guarirla?

Ponendosi in posizione ricettiva, e magari trascrivendo su carta e penna, le risposte che arriveranno saranno dense di opportunità di guarigione. Potremmo scovare un ricordo d’infanzia così lontano nella memoria da renderci conto che non siamo più quel bambino ferito! Oppure potremmo sentire una frase che ci illuminerà, o, ancora, vedere la situazione da una prospettiva opposta e incoraggiante…

2) Il secondo passo consiste nell’individuare l’emozione o la situazione che possono guarirci: come, dove, quando e con chi potrei sentirmi accettata? E poi… concediamocela! Naturalmente, come sempre quando si tratta di crescita, tutto va declinato in prima persona, quindi deve essere totalmente in nostro potere realizzarla.

Se mi sento rifiutata perché non mi sento amata, l’emozione che mi cura è l’amore. Non posso chiederlo agli altri, ma posso donarlo a me stessa e fare tutto ciò che è in mio potere per prendermi cura di me: da una semplice coccola a una vera e propria vacanza su misura per me, creata intorno a ciò che realmente desidero, perché me lo merito…

Se la ferita da rifiuto genera in me delusione, posso creare una situazione che mi soddisfi così tanto da nutrire quella parte di me che soffre, disinnescandone il potere distruttivo.

Possiamo esercitarci e imparare ad applicare la nostra creatività non più alle giustificazioni (“E’ colpa degli altri!”), ma alle soluzioni orientate alla nostra felicità! Se riusciamo a rendere un’abitudine questo modo di reagire alla ferita del rifiuto, la nostra vita prenderà tutt’altra piega… una bella piega! 😉

Come reagite quando vi sentite rifiutati? E, soprattutto: come potreste reagire per costruire la vostra felicità?


Se avete piacere di seguire un percorso orientato alla vostra felicità, contattatemi: info@robertamarzola.it – cell e WA 320 4103952. Maggiori informazioni in questa pagina.