Quando una determinata situazione non incontra il tuo gusto o il tuo piacere, fuggirla, boicottarla, negarla non è mai la soluzione: le leggi universali ti richiedono di cogliere il messaggio che essa contiene. Perché in ogni esperienza che viviamo c’è sempre un messaggio da cogliere. Altrimenti non avrebbe ragione di capitare lungo il nostro cammino!
Se ci accorgiamo del significato che ci sta mostrando, siamo pronti per farne tesoro e passare oltre. Se, invece, ci chiudiamo al suo messaggio, la stiamo costringendo a perdurare e a mostrarsi in seguito con maggior forza, sfidando a volte le nostre capacità di resistenza.
La vita come una scuola: insegnanti ed esami
Proviamo a immaginare la nostra vita come una scuola, in cui le situazioni sono i nostri insegnanti e le prove della vita sono gli esami che dobbiamo superare per poter passare al livello successivo.
Ogni nostro insegnante ci trasmette nuovi contenuti da apprendere, ci esorta a ripassi delle lezioni precedenti, ci assegna compiti per rendere “nostra” la materia. E ogni passo che facciamo “dentro” le nuove conoscenze ci porta enormi gratificazioni. Perché nella scuola della vita ogni materia è interessante e ogni compito affascinante. Perché, allora, non li percepiamo sempre in questo modo?
Vittime o protagonisti? Il segreto dell’abbandonarsi
Spesso interpretiamo il ruolo di vittime della vita, incapaci di cogliere un disegno più grande di noi. Se riuscissimo a percepirlo, ci accorgeremmo di fluire in una direzione ben precisa, accompagnati da compagni di viaggio che ci sono stati posti accanto per sostenerci, spronarci e guidarci nel cambiamento. In quanto vittime, invece, non ci mettiamo nella condizione di poter apprezzare gli insegnamenti della vita: come può uno scolaro che odia la maestra imparare qualcosa da lei? Sarebbe molto più semplice e saggio inquadrarla come una donna che svolge il proprio ruolo meglio che può nelle condizioni in cui è stata posta, e apprezzare ciò che riesce a trasmettere…
Se ci concediamo invece di percepirci come protagonisti della vita, troveremo anche la forza per ammettere, e poi accorgerci, di essere guidati da un Grande Regista (Dio, la nostra parte divina, l’Universo? Le parole poco contano a questo livello…). Sembra paradossale, finché non ci rendiamo conto che la nostra reale forza è quella di abbandonarci a Lui. Sì, avete letto bene: ci vogliono forza e coscienza del proprio potere e dei suoi confini per poter scegliere di “abbandonarsi”. Altrimenti questa stessa parola assume i toni della rassegnazione e della disperazione.
“Abbandono” significa in realtà scegliere di rinunciare alla propria arroganza che ci fa dire: “Io decido e so che cosa sia meglio per me”.
Chi si abbandona coglie invece il proprio potere di scegliere il meglio in generale, affidando i dettagli a Colui che, avendo una visione globale della nostra esistenza, ne sa di più.
“E’ solo quando c’è un abbandono completo all’adesso, a ciò che è, che la liberazione è possibile.”
(Eckhart Tolle)
Mi rendo conto che ho dato voce a una visione “tosta” della vita… voi cosa ne pensate?